Camilla ricorda le sue prime giornate romane, nelle quali imparava con sofferenza presso la Grande Agenzia Giornalistica le basi del mestiere. Si occupava non meno dieci ore al giorno dei massimi sistemi, tampinava indifferente agli elementi il jet-set delle prime pagine dei giornali (anche se Briatore e la Gregoracci ancora mancano al suo carnet), alzava gli occhi dal computer e si accorgeva che l’ora di pranzo era passata ed era ormai entrata in zona aperitivo.
Camilla allora afferrava il portafogli e scendeva alla tavola calda accanto al portone, afferrava la prima cosa da mangiare e correva di nuovo davanti al suo computer e, tra una forchettata e l’altra, riprendeva a lavorare.
Il primo giorno nella sede suprema della Grande Agenzia Giornalistica Camila conobbe i colleghi. Le parlarono delle sue future mansioni, degli orari di ingresso e di uscita. Ma Camilla, soprattutto, fece la conoscenza dell’ora di pranzo.
“Se sei entrata alle nove allora il tuo turno è alle 13,00. Se invece entri dopo le dieci il tuo turno è alle 14,00”, disse la collega che le stava spiegando le basi.
“Cerca di non metterci più di un’ora, così gli altri possono andare tranquillamente”, aggiunse.
“Un’ora?”, chiese Camilla, certa di non aver capito bene, mentre mesi di tramezzini mozzarella e prosciutto mangiati freddi per non perdere tempo scorrevano psichedelici davanti ai suoi occhi.
“Certo, un’ora. Perché, quanto tempo avevate per la pausa pranzo nella sede periferica della Grande Agenzia Giornalistica”, chiese la collega incuriosita.
“Pausa pranzo?”, fu la nuova risposta di Camilla che per lo shock non riusciva ad articolare più di due parole contemporaneamente.
La collega passò a spiegare il punto successivo.
Nelle due settimane successive durante l’Ora di Pranzo (da oggi devotamente con la maiuscola) Camilla ha passeggiato davanti alle vetrine delle boutique milanesi con un gelato in mano, pranzato in un centro Hare Krishna (facendo incazzare i gestori con la richiesta di un caffè), assaggiato cucina giapponese, cinese, pizza, piadine, insalate di farro. Tutto gustato serenamente e impiegandoci una volta addirittura un’ora e dieci (ma c'era anche un capo tra i commensali).
Camilla allora ripensa a quando qualche Autorità creò, cielo, terra, uomini e animali (non necessariamente in quest’ordine). A quando distrusse Babele e creò le nazioni: i milanesi li fece seri e lavoratori e i romani spensierati e gaudenti.
Camilla si chiede se per caso qualche copista distratto, in una qualche cella buia di un monastero sperduto in un evo lontano, non abbia accidentalmente scambiato nomi e attributi, rovinando irrimediabilmente i rapporti tra i due popoli per i secoli a venire.
lunedì 16 giugno 2008
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